Diamante

Il diamante è il minerale ed il materiale più duro conosciuto dall’uomo. Questo significa che un diamante può essere scalfito soltanto da un altro diamante, è inattaccabile a qualsiasi acido conosciuto e le sue proprietà rimangono costanti nel tempo e nello spazio. Si presume, che i diamanti che vengono usati oggi in gioielleria siano stati creati dalla terra più di 1000 milioni di anni fa. Il suo caratteristico “splendore” è causato,oltre che dalla sua eccezionale durezza, sopratutto dal taglio, che con il passare dei secoli l’uomo ha imparato a perfezionare. I parametri che invece determinano il suo reale valore sono essenzialmente le sue 4C ossia, 1) carat (peso), 2) clarity (purezza) 3) color (colore) 4) cut (taglio).  I principali luoghi di ritrovamento sono in Sud Africa, in Africa centrale, in Australia, in Brasile in India e in Siberia. Per ognuno di questi luoghi esiste un suo preciso periodo storico di maggior splendore, quelli indiani sono i più antichi,ma di minore qualità rispetto a quelli del Sud Africa, che sono ancora oggi i più pregiati. I diamanti sono stati ricreati anche in laboratorio, tramite l’ausilio di macchine capaci di attuare artificialmente elevatissime temperature e pressioni. Fortunatamente l’artificiosità di questa genesi è ancora riconoscibile dall’uomo, ma esistono ulteriori modificazioni su diamanti naturali di ben più difficile riscontro. In questi casi stiamo parlando di decolorazioni artificiali o di modificazioni, tramite laser, del grado di caratteristiche interne.

Tra le tonnellate di carati, che ogni anno vengono estratte in tutto il mondo, soltanto il 5%  si può definire di interesse gemmologico,  ossia solo le qualità più elevate che vengono utilizzate in gioielleria o per scopi finanziari, mentre il resto è utilizzato dall’industria.

Nonostante il diamante sia il materiale più duro al mondo, decimo posto della “scala di Mohs”, che misura la resistenza alla scalfitura, da un minimo di 1(talco) a 10 (diamante), è definito comunque “fragile”.

I diamanti infatti, se colpiti lungo specifiche direzioni cristallografiche sono soggetti a “sfaldatura”. Quest’ultima è una proprietà fisico vettoriale, che agisce lungo i piani paralleli alle facce dell’ottaedro (la pietra grezza). Quindi con un colpo, arrecato con una particolare direzione ed inclinazione, la pietra si potrebbe “rompere” perfettamente lungo una linea ben precisa.

Questo è estremamente raro che accada per colpi fortuiti, rimane più che altro, un problema dei tagliatori di grezzi, che devono valutare questi assi di rottura con estrema attenzione.

La sua massa è di 3.52 ossia è tre volte e mezzo più pesante dell’acqua e il suo indice di rifrazione (rapporto tra la velocità dei raggi di luce in aria rispetto a quella nel minerale) è di 2.41.

In relazione ai raggi luminosi il diamante risulta particolarmente brillante perché tutti i raggi che lo colpiscono con angolo superiore ai 24° vengono totalmente riflessi dal minerale.

Si genera così quel fenomeno ottico chiamato “fuoco”. Il raggio luminoso subendo riflessione e rifrazione sul diamante, si scompone nei classici colori dell’arcobaleno,che ci appariranno puri tramite un effetto “flash”, elemento utile, per il riconoscimento del minerale al cospetto delle sue più rozze imitazioni.

Oltretutto molti diamanti reagiscono sotto l’influsso di raggi ultra violetti e molte volte portano fluorescenza, che se forte, penalizzerebbe la pietra.

Genesi e storia del diamante

Il diamante si forma tra i 150 e i 200 km al di sotto della crosta terrestre, nel mantello superiore, a pressioni elevatissime comprese tra i 45 e i 60 kbar, e temperature  tra i 1000°C e i 1300°C.

Si stima che la loro formazione sia avvenuta tra 3000 milioni e i 1000 milioni di anni fa.

L’etimologia della parola diamante deriva dal greco “adamas” che significa “invincibile”, simbolo per il suo detentore  di potere e successo.

La sua genesi però, ancora oggi, non risulta affatto chiara. Infatti, nei secoli passati, numerosissimi studiosi hanno investigato questo campo d’analisi senza però, arrivare mai, a conclusioni certe ed inconfutabili.

Già a metà dell’ottocento il fisico Inglese Sir David Brewster fece la sua teoria a riguardo, ipotizzando la loro formazione da residui carbonici di alcuni tipi di piante. Ben presto questa teoria fu abbandonata e lasciò il posto agli studi del francese Damour, che comprese invece che la formazione di questo minerale è da ricercarsi nelle complesse trasformazioni chimico fisiche createsi all’interno della crosta terrestre nel corso di migliaia e migliaia di anni. Si capì ben presto che questa, era la corretta procedura d’indagine, ma  se oggi abbiamo compreso la sua formazione, e l’uomo è capace di fare un prodotto sintetico quasi perfetto, non è ancora stata dimostrata la sua reale genesi in natura. Quelle certe invece, sono le condizioni necessarie affinchè si formi un diamante, quello che non risulta invece chiaro è dove e quando, all’interno del sottosuolo, questo processo sia presente.

Volendoci concentrare sugli studi sappiamo quanto segue: il diamante si genera a temperature comprese tra i 900 e i 1300 gradi, a pressioni comprese tra le 45mila alle 60 mila atmosfere, ed è composto da atomi di carbonio. Condizioni simili in natura, si suppone che si creino ad almeno 150km di profondità sotto la crosta terrestre.

Anche i tempi di formazione dei diamanti sono estremamente remoti, basti pensare che quelli delle miniere del Sud Africa, si stima, che si siano formati più di 3000 milioni di anni fa. La sua formula chimica è semplicissima:”c” ossia solo atomi di carbonio puro e volendo fare un esempio, le punte delle matite e i diamanti, hanno la medesima formula chimica, quello che cambia invece, è il loro reticolo cristallino, che nel primo caso è esagonale (molto più tenero) mentre nel secondo risulta cubico (estremamente duro).

In questo caso siamo in presenza del fenomeno del polimorfismo, ossia medesima formula chimica ma differente forma del reticolo cristallino.

Sicuramente le attuali e limitate conoscenze sul Diamante sono da ricercarsi anche nella sua tardiva scoperta, in particolar modo,  non si conoscevano con precisione, i suoi luoghi estrattivi. I ritrovamenti avvenivano in maniera del tutto casuale, spesso nei letti dei fiumi, in residui o in ghiaie alluvionali senza però, conoscere, il vero luogo dal quale provenissero. Queste zone di ritrovamento “incerte” vennero definite “giacimenti secondari”.

Durante la seconda metà dell’800 si scoprì che i diamanti provenivano dal cono di alcuni vulcani oramai inattivi, e giungevano in superficie, dalla profondità della terra, attraverso il magma,  protetti da particolari rocce che si chiamano xenoliti e in particolare dalla kimberlite e dalla Lamproite.

Questi giacimenti vennero allora definiti  “primari” e furono trovati in Sud Africa. Inutile dirlo, ma la loro scoperta comportò degli incredibili successi. Ne vennero trovati in  numero elevato ma soprattutto,la grandezza media del singolo grezzo, rese subito chiara l’enorme scoperta.

Compresi i luoghi fecondi, iniziarono ingenti operazioni di scavo che portarono alla comprensione,  delle reali condizioni geologiche, necessarie al fine di ottenere buoni risultati estrattivi. Il luogo dove è presente la roccia diamantifera, e’ caratterizzato da un primo strato di terra  che si chiama “yellow ground” che conta uno spessore compreso  tra i 10 e i 25 metri , qui si possono trovare dei diamanti, ma la zona soventemente più fruttifera, è quella sottostante alla yellow ground che si chiama invece “blue ground” data la sua colorazione molto più scura. All’interno di questa fascia di terra, ma anche sotto, si possono trovare il maggior numero di rocce kimberlitiche e quindi di diamanti, sempre protetti al loro interno.

Ogni miniera di solito estrae un particolare colore dei suoi diamanti e anche simili gradi di caratteristiche interne, così da poter, seppur in linea teorica, capire la zona  estrattiva di ogni singola pietra. Questo era possibile molti anni fa quando le produzioni non erano così numerose come lo sono oggi. Volendo fare un esempio, tutti i diamanti che portavano una leggera sfumatura gialla venivano denominati Wesselton, proprio perchè la miniera del Sud Africa Wesselton estraeva quel particolare colore di pietre.

Oggi la cortina di fumo che avvolge ancora questo stupendo minerale, si sta lentamente alzando, ma rimangono ancore troppi interrogativi. Molti di questi, nascono anche dal ritrovamento, in un meteorite caduto sulla terra nel 1967 chiamato “Canon Diablo”,di un diamante leggermente diverso da quello conosciuto sulla terra, data la forma del suo reticolo cristallino esagonale e non cubica. Questa differenza potrebbe essere causata dalle altissime temperature che questo, ha subito quando è entrato in contatto con la nostra atmosfera. Alcuni studiosi si sono spinti ad ipotizzare che sulla luna potrebbero esserci numerosi diamanti, meno rovinati dal riscaldamento rispetto a quello ritrovato sulla terra dato il minore attrito che produce l’atmosfera lunare rispetto alla nostra. L’ eccezionale scoperta ci porta ad ipotizzare che il diamante non è una prerogativa del nostro pianeta e crea ulteriori incertezze a chi , da secoli,cerca di risolvere la sua enigmatica genesi.

CARAT PESO:

La prima C è il peso della pietra: “Carat” ossia il carato. Quest’ultima è una vera e propria unità di misura e corrisponde a 0.2grammi. Ossia 5 ct corrispondono ad un grammo. Usata fin dall’antichità è rimasta in vigore fino ai giorni nostri data la sua peculiare funzionalità di misurare, con estrema precisione il peso. Proprio a tal fine si è introdotta una sottomisura chiamata punto, che corrisponde alla centesima parte di un carato. Quindi 1pt è uguale a 0.01ct e solo se sono in presenza della terza cifra decimale posso arrotondare. Per esempio 0.998pt corrisponde a 0.99ct mentre 0.999pt posso scrivere 1ct.

PUREZZA:

La seconda C è la “clarity” ossia la purezza del nostro diamante. Per purezza si intende l’assenza di inclusioni (impurità di solito nere ma anche bianche e trasparenti) all’interno del diamante visibili con una lente (tripletta) a 10 ingrandimenti. Quest’ultime sono delle disomogeneità di crescita del minerale e possono essere sostanzialmente di tre tipi:

  • Solide: all’interno della pietra sono presenti dei minerali o dei cristalli o addirittura anche un’altro diamante stesso e si notano i perimetri di queste inclusioni,
  • strutturali dipendono dalla crescita e sono soventi delle linee,
  • fratture interne alla pietra soventi di colore biancastro).

Questi difetti sono fondamentali da vedere, vanno riportati sul certificato gemmologico e và fatto un disegno delle inclusioni interne con il colore rosso, per assegnarne il corretto grado di caratteristiche interne. I gradi sono molteplici e per ognuno di essi, esiste un valore economico ben preciso. Essi si elencano con modalità decrescente in base al loro valore con delle sigle internazionali:

  1. I.F. . (internaly flawess) ossia puro al suo interno è il diamante più pregiato, in quanto privo di inclusioni, ma anche L.C.(loupe clean, ossia puro alla lente).
  2. VVS (very very small inclusions) inclusioni molto piccole difficilmente visibili alla lente 10x e ha due sottogradi: VVS1 tendente alla pietra pura, VVS2 tendente al grado inferiore e quindi riporta qualche microscopica inclusione in più.
  3. VS (very small inclusions) inclusioni molto piccole ma più facilmente visibili e ha, a sua volta, due sottogradi (vs1 tendente al vvs e vs2 tendente al grado inferiore).
  4. SI (small inclusions) inclusioni piccole ma facilmente visibili con una lente, anche quest’ultimo ha due sottogradi. L’ultimo grado è il meno pregiato e si chiama Piquè P, le inclusioni dovrebbero essere visibili anche ad occhio nudo e ha tre sotto gradi (P1,P2,P3) sempre di qualità decrescente.

Da normative internazionali si evince che il sottogrado deve essere sempre riportato nei certificati gemmologici per diamanti con caratura superiore a 0.30ct, mentre per quelle inferiori non risulta vincolante. Come descritto, esistono 10 gradi per definire la purezza di una pietra tagliata e molte volte la loro precisa identificazione non risulta affatto semplice e per pietre di una certa importanza consiglio il parere di due o tre gemmologi esperti in merito.

COLORE

Anche quest’ultima variabile risulta di primaria importanza per l’analisi qualitativa del diamante e fa chiarezza su eventuali sfumature presenti nella pietra, e quanto tali colorazioni siano più o meno sature all’interno di essa. Per rendere la questione un pò più semplice, quando un esperto deve dare un grado di colore di una determinata pietra, oltre a fare attenzione a quale colore di sfumatura è presente nella pietra, si concentra sopratutto su quanto colore sia presente in essa, ossia quanto il colore è saturo. Volendo fare un esempio, se dovessimo prendere un bicchiere pieno d’acqua non abbiamo alcuna saturazione, mentre se dovessi aggiungere una goccia di inchiostro blu avrei saturazione 1, due gocce saturazione 2 e così via. Il colore che non ha alcuna sfumatura è il colore D.

Seguendo le lettere dell’alfabeto dalla D alla Z abbiamo la scala dei colori,(scala Cape) dove Z è giallo. Come detto in precedenza la D-E-F non portano sfumature di colore,nelle lettere G-H-I il colore si inizia ad intravedere nella pietra ma risulta estremamente tenue,(poche gocce di colore) mentre per le lettere inferiori il colore risulta sempre più marcato fino alla lettera Z, dalla quale, le pietre si possono definire “fancy color”. Questo vale per la “scala Cape”, ossia dall’incolore al giallo,essendo le  colorazioni più comuni nei diamanti, attuano un deciso deprezzamento in rapporto alla loro intensità di saturazione.

Mentre ne esistono delle altre decisamente più rare e quindi molto più pregiate che sono quella rossa, rosa, arancione verde e blu. In questi casi si sta parlando di diamanti estremamente rari ed al contrario dei casi precedenti, più questa sfumatura è intensa più aumenta in maniera esponenziale il valore della pietra stessa. In questo frangente,si utilizzano, invece della scala cape, delle tabelle di colore chiamate Munsell, nelle quali si definiscono “fancy color” tutte quelle pietre che portano queste rare tinte con saturazioni maggiori alla lettera H. Diamanti di questo tipo sono vere e proprie rarità e i prezzi per queste tinte, raggiungono cifre esorbitanti, specie se hanno una buona luminosità e saturazione. I parametri quindi da tenere in considerazione sono essenzialmente tre: tinta, saturazione e luminosità (quanta sfumatura grigia o nera è presente nella pietra quindi se è più o meno luminosa). Tutte queste classificazioni sono valide solo se il colore risulta di origine naturale e non modificato con alcun trattamento artificiale.

La determinazione del corretto colore non risulta operazione semplice neanche  di fronte agli occhi più esperti, e per convenzione internazionale, quest’ultimo si determina grazie all’ausilio di un “master stone” ossia tramite l’ausilio di un set di pietre di paragone composto da diamanti da 0.5ct l’uno con purezza non inferiore al vs, senza fluorescenza e con colori certi. Anche in questo frangente però, per pietre particolarmente importanti, consiglio il giudizio di più esperti in merito.

Nei colori dei diamanti influiscono moltissimo la forma, il taglio e la caratura della pietra.

TAGLIO:

L’ultima C è il “cut” ossia il taglio. Quest’ultimo nella forma rotonda e taglio a Brillante è composto da 57 faccette  più l’apice, studiate affinché la pietra rispetti precisi rapporti e angolazioni di clivaggio(taglio) al fine di farla risultare la più lucente e brillante possibil

La parte superiore del diamante tagliato a Brillante è sempre di forma ottagonale e si chiama “Tavola”,mentre quella appena sotto “Corona” ed è costituita da 32 faccette.  La parte più esterna della pietra è costituita dalla “Cintura” che può essere di tre tipi:

– sfaccettata (lucida e tagliata come il resto della pietra)

– polita (lucida ma non tagliata)

– smerigliata (satinata opaca). Anche per quest’ultima si danno dei giudizi in base alla sua larghezza, rapportata al resto della pietra e può essere: molto sottile, sottile media, spessa e molto spessa (gli estremi sono sempre da evitare).

Sotto la cintura c’è la parte inferiore del diamante, ed è definita con il termine  “Padiglione”, 24 faccette più “Apice”. Anche quest’ultimo può assumere diverse forme:

  • appuntito, sfaccettato (se presente è la 58esima faccetta)
  • abraso (era appuntito ma successivamente rovinato)
  • danneggiato (ha un danno da rottura)  ma questo verrà esplicato  più avanti nel testo.

Per determinare la precisione e la correttezza del taglio esiste una scala decrescente di giudizio:

  • Excellent (taglio perfetto o “ideal cut”)
  • Very Good,
  • Good, fair
  • Poor  taglio approssimativo e pietra spenta

PROPORZIONI:

Al fine di dare un corretto giudizio sul taglio bisogna prestare particolare attenzione alle sue proporzioni. Quest’ultime sono dei precisi parametri espressi in percentuale rispetto al diametro della pietra(100%).

A studiarle fu l’ingegnere Marcel Tolkowsky, che calcolò le corrette %, in base alle leggi dell’ottica, per far risultare la pietra più brillante possibile. Ancora oggi i tagli moderni differiscono di poco da quelli di Tolkowsky, considerato il padre del moderno taglio a diamante rotondo, con la sola modificazione della larghezza della tavola che con il passare degli anni risulterà più grande, al fine di  diminuire la dispersione a favore di una più marcata brillantezza.

Attenzione, quando vi parlano di Brillanti non si fa riferimento ai diamanti ma soltanto al tipo di taglio. Nonostante sia il taglio più in uso nell’ultimo secolo,la forma rotonda e il taglio a Brillante può essere applicata a molteplici minerali e anche ai vetri. Questo parametro non è affatto secondario poichè sarà proprio il taglio della nostra pietra, e il conseguente rispetto dei questi rapporti, a determinarne le seguenti  proprietà ottiche:

  • Lucentezza: la luce che colpisce esternamente il minerale, che data l’elevatissima durezza del diamante, si rifrange (cambia il suo cammino ottico) e riflette ( viene rimbalzata all’esterno), è quindi una proprietà ottica che agisce sul perimetro esterno della pietra.
  • brillantezza, il fenomeno ottico è interno al minerale, la luce entrando, si riflette sulle facce interne del padiglione (la parte bassa della pietra) per poi riuscire dalla tavola, ossia dalla parte più alta, ma anche la più visibile nel taglio a Brillante.
  • Fuoco è la scomposizione della luce in tanti piccoli flash dei colori dell’iride, è anch’esso determinato dall’elevatissima durezza del diamante ed è diagnostico per il suo riconoscimento, dato che nessun minerale o imitazione può vantare un fuoco così marcato.

Il taglio incide su queste citate proprietà ottiche, ma molto importante risulta anche la sua ultima fase, che è data dalla Finitura: ossia da simmetria e politura.

SIMMETRIA:

La simmetria riguarda i rapporti geometrici esistenti fra le faccette che compongono un determinato taglio, che devono essere specularmente uguali e rispettare rigide proporzioni al fine di massimizzare le proprietà ottiche del minerale. I loro giudizi sono: ottima (assenza di asimmetrie) molto buona ( lievissime asimmetrie) buona (poche asimmetrie) media ( asimmetrie facilmente visibili) e scarsa ( numerose ed evidenti asimmetrie.)

POLITURA:

Responsabilità del tagliatore riguarda anche la presenza o meno di caratteristiche esterne nel diamante e quindi di come la pietra sia stata polita ossia lucidata. Quest’ultime se presenti devono essere riportate sul disegno nel certificato in colore verde ( rosso se sono interne) e sono: Cavità, graffi (linee di politura, ossia segni di lucidatura non ottimale che possono causare anche tracce di surriscaldamento)  tacche (piccoli porzioni di diamante mancante sulla cintura) e natural. Solo quest’ultimo non è una parte rovinata della pietra ma solamente una parte non lucidata e quindi rimasta grezza. Questa è molto importante se presente, poichè non solo viene lasciata per correggere l’esatta rotondità del taglio a brillante, ma sovente, porta sulla sua parte esterna, la presenza di piccoli “triangolini”. Quest’ultimi vengono chiamati “Trigoni” e sono prerogativa dei diamanti, quindi la loro eventuale ma non rara presenza, è la dimostrazione oggettiva per il suo riconoscimento.

Soventemente se presenti più “Trigoni”, il loro posizionamento corrisponderanno in posizioni speculari sulla cintura, al fine di non interferire con la circolarità della pietra.

Questa fase di taglio si chiama Politura e anche lei è soggetta a giudizio sempre con la lente a 10 ingrandimenti proprio come avviene per la simmetria e può essere: ottima (assenza di difetti) buona (pochi o lievi difetti) media ( difetti facilmente individuabili) scarsa ( numerosi ed evidenti difetti).

FLUORESCENZA:

Quando si parla di fluorescenza è meglio fare chiarezza sul fenomeno della luminescenza: emissione di luce visibile da parte di un corpo quando viene sottoposto a radiazioni a bassa frequenza ossia a raggi ultravioletti. Al cospetto di tali raggi un minerale può reagire risplendendo di luce propria, ma al cessare di esse, ritornare al suo stato naturale, è il caso della fluorescenza, o continuare a essere illuminato di luce propria anche al cessare di queste radiazioni e siamo in questo caso in condizioni di fosforescenza. Molti diamanti hanno fluorescenza mentre la fosforescenza è rarissima se non inesistente in questo minerale. Anche la fluorescenza incide, specie se molto forte, sul valore del diamante, poiché, la pietra sottoposta anche ai semplicraggi solari potrebbe risultare lattescente.

I gradi di misurazione della fluorescenza sono molteplici e può risultare: very strong ( molto forte) senz’altro da evitare, strong (forte), medium (media), slight (debole), very slight (molto debole) e none (nulla). Per i diamanti con fluorescenza molto forte si ha un deprezzamento nell’ordine del 5-10%.

VALORE:

Il valore dei diamanti dipende dal grado di tutte le caratteristiche sopra elencate, e in ordine decrescente si calcola in base al: Peso, Purezza, Colore, Taglio, Politura e Fluorescenza di ogni singola pietra.

PESO  è un risulta un parametro fondamentale per la grandezza di una singola pietra. Infatti le pietre molto piccole, ossia quelle da 1pt costano all’incirca tra i 600 e i 1000 euro al ct, quindi una pietra da 1pt può costare dai 6 ai 10 euro l’una, mentre già le pietre da mezzo ct (ossia 50pt l’una) vanno dai mille euro al ct ossia 500 euro l’una, fino agli 8000 euro al ct ossia 4000 euro l’una.  Se poi si passa la soglia del carato di peso i prezzi crescono in maniera esponenziale e si può partire da un minimo di 2-3 mila euro fino ad arrivare a quasi 18 mila euro a pietra. Sopra i 2ct si può arrivare per le qualità migliori anche a 60 mila euro a pietra. Da questi piccoli esempi spero risulti chiaro quanto incida sul valore il peso di una singola pietra, sempre rapportato alle altre 3c per saper stimare correttamente il suo reale valore. Questi prezzi sopra descritti si riferiscono a commerci all’ingrosso e naturalmente differiranno di gran lunga con la vendita al dettaglio, ma comunque rimarranno utili per farci capire il reale valore dei nostri diamanti. Volendoci rendere conto della grandezza reale di un singolo diamante potrei dirvi che quello da 1pt è grande come una “capocchia” di uno spillo (se non di meno) e quello da 1ct misura 6mm di diametro ossia meno della metà della lunghezza di una singola unghia di una mano.

Per quanto riguarda i diamanti venduti in gioielleria di solito sono di qualità intermedia, se non addirittura bassa e soventemente compresi tra i VS e SI di purezza, F-G di colore e con il classico taglio a Brillante. Questo vale nelle maggior parte dei casi di vendite al dettaglio, poiché sono proprio queste le qualità che hanno il miglior rapporto qualità prezzo. Per le qualità superiori invece, si parla sia di alta gioielleria, anche se spesso in questi casi il nome di un noto brand non garantisce affatto l’elevata qualità delle pietre, ma in particolar modo siamo di fronte a diamanti con finalità di investimento finanziario. Anche se in Italia questo mercato è poco sviluppato, per i diamanti puri e del miglior colore, ossia D, I.F., assistiamo ad un circuito internazionale di compra vendita di queste pietre che raggiungono cifre molto elevate fin dalle medie basse carature, ossia sopra il mezzo ct. Questi due mercati, anche se vendono gli stessi beni, sono diametralmente opposti e risulta molto raro che una pietra di elevatissima qualità venga montata su un monile e al contrario una pietra di medio bassa qualità non verrà recepita da nessun investitore finanziario.

In linea generale comprare a Roma a Londra a Tel Aviv a New York a Tokio a Sidney o in Sud Africa economicamente parlando non dovreste riscontrare alcuna differenza di prezzo, poiché la quotazione internazionale dei diamanti è valida in tutto il mondo e vengono quotati una volta a settimana tramite un listino di prezzi all’ingrosso, che si chiama Rapaport. Oltretutto siamo in un mercato che, non volendolo definire di monopolio, è senz’altro identificabile come un oligopolio, dove i prezzi sono sempre constanti e la concorrenza e il libero mercato pare non abbiano preso piede. Attualmente una delle maggiori società del mondo che si occupa della vendita del suddetto bene è la D.T.C., Diamond Trading Company, ex De Beers. Quest’ultima utilizza un sistema di vendite piramidale, organizzando due o tre volte l’anno delle vendite all’ingrosso, alle quali vengono invitati una novantina di Sightholders, che sono gli unici autorizzati a comprare non meno di un certo quantitativo di grezzo. Queste persone non possono esimersi nell’acquisto dettato dalla società, pena, l’esclusione dal primo passaggio della filiera. Questi acquisti si aggirano soventemente nell’ordine di milioni e milioni di euro a volta, per poi essere rivenduti in lotti più piccoli a grossisti di secondo livello e così via. Naturalmente il prezzo subisce un incremento ad ogni passaggio, che si farà sempre più marcato, proprio in corrispondenza alle ultime fasi della filiera, ossia nella vendita al dettaglio. In quest’ultimo caso possiamo assistere anche ad un incremento di più del 50% del passaggio precedente, e parlando di diamanti si tratta di lauti guadagni. Comunque rimane tutto rapportato alla quantità della vendita, infatti un gioielliere di norma non vende dieci diamanti al giorno, ma magari uno in mese, e quindi è giustificabile questo marcato incremento di prezzo.

CERTIFICAZIONI:

L’unico metodo per conoscere con certezza che qualità di pietra abbiamo davanti è quello di farla certificare da un istituto gemmologico accreditato, meglio se in campo internazionale come il G.I.A. Gemological Institute Of America, I.G.I. International Gemological Institute di Anversa, HRD Antwerp World Diamond Center, e in Italia l’Istituto Gemmologico Italiano fondato nel 1973 a Milano e riconosciuto con Decreto del Presidente della Repubblica nell’agosto del 1979.

La certificazione in linea di massima, si attua su pietre superiori ai 30 pt e viene fatta, nella maggior parte dei casi, subito dopo la fine della fase di taglio e prima di essere immessi sul mercato. Nella maggior parte dei casi la pietra viene sigillata all’interno di una plastica trasparente chiamata “blister” dove viene riportato il nome dell’istituto che ha certificato, il codice del certificato di riferimento, e le principali caratteristiche della pietra.

Attenzione, una volta aperto il blister non ci sarà più certezza che quella pietra si riferisca a quel determinato certificato. Per ovviare a questo inconveniente da qualche anno a questa parte, questi istituti gemmologici internazionali operano un’ulteriore forma di garanzia sulle loro certificazioni, attuando sulla parte esterna della pietra, ossia sulla cintura, una microscopica incisione laser, visibile solo a 20 ingrandimenti, con incisi i numeri del certificato di riferimento.

Di fronte a questi ultimi casi abbiamo la certezza inconfutabile che la nostra pietra è quella descritta nel certificato senza alcun margine di errore, poiché sofisticare una tecnologia del genere sarebbe alquanto improbabile, dato i costi elevati che hanno queste macchine ad incisione laser, ed oltretutto con il  codice, si ha la possibilità di andare sul sito dell’istituto che ha emesso il mio certificato e verificare personalmente se il codice corrisponde alla pietra.

Se invece avete acquistato delle pietre senza alcun certificato gemmologico, vi siete esposti a grandi rischi e la vostra unica sicurezza sarà la fiducia che riponete nel vostro venditore. Infatti, una volta acquistato un diamante, anche con certificazione del gioielliere, risulterà particolarmente difficoltoso verificare un’eventuale truffa poiché la controparte potrà sempre dire che siete stati voi a sostituire una pietra con una di minore qualità.

Purtroppo in Italia ancora non abbiamo ancora recepito una legge che faccia chiarezza e regolamenti questo delicato mercato, il tutto a discapito delle persone oneste, che vengono prevaricate dai soliti “furbetti” che demistificando la realtà,  riescono ad attuare lauti guadagni facendo credere grandi affari, che in realtà non sono altro che truffe ed anche di difficile riconoscimento, specie sul piano temporale. Volendoci mettere al riparo da qualsivoglia controversia, comprate solo diamanti certificati con incisione laser sulla cintura, poi la scelta spetterà a voi, ricordandovi che in questo settore i prezzi dei diamanti sono calmierati in tutto il mondo e ricordatevi che i grandi affari, in questo settore, proprio non esistono.

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